RomaFF14 – Nomad – In The Footsteps Of Bruce Chatwin – La Natura E La Messa In Scacco Del Cinema
Come al solito, anche in questo caso, l’ultimo progetto di Werner Herzog, precisiamo, del Documentarista Werner Herzog, è, prima di ogni altra cosa, un discorso su sé stesso e sul suo cinema, più che un saggio, di studio, su un determinato aspetto del reale.
Nomad – The Footsteps Of Bruce Chatwin, l’ultimo documentario di Herzog presentato quasi in sordina alla Festa Del Cinema di Roma (una proiezione stampa addirittura antecedente a quella del film d’apertura) è un progetto che rischia di trarre in inganno, a causa, soprattutto, del vero e proprio argomento attorno a cui ruota il progetto.
Nomad è, forse, uno dei film più personali di Herzog, che attraverso di esso ha deciso di raccontare quello che per lui è il “Nomade” per eccellenza: l’antropologo Bruce Chatwin, con cui strinse un’amicizia durata fino alla prematura scomparsa dello studioso, a 48 anni.
Il rischio, si diceva, è in sostanza quello di considerare Nomad un film facile, quasi retorico, attraverso cui Herzog punta a stimolare le corde più istintive della nostra interiorità, quelle che rimano improrogabilmente con la solidarietà che si conviene a chi ha perso un caro amico e ne sta ricostruendo la vita e il rapporto con esso attraverso l’immagine di celluloide, un rischio, un’occorrenza, da cui, tuttavia (e sarebbe assurdo il contrario), Herzog finisce per smarcarsi quasi subito.
Non solo perché la ricostruzione della vita di Chatwin non ha (come capita spesso nei documentari di Herzog), la solennità che ci si aspetterebbe da un ritratto di un insigne studioso organizzato dal suo più caro amico (vuoi perché ciò che traspare, irrimediabilmente, è prima di qualsiasi altra cosa la straordinaria umanità di Chatwin, la sua curiosità, la fallibità, i suoi limiti), ma soprattutto perché Herzog non fa altro che disinnescare costantemente, attraverso veri e propri stratagemmi narrativi, l’eventuale alone di sacralità che rischierebbe di elevare gratuitamente la vita e l’immagine di Chatwin al di sopra di quella concretezza a cui il regista desidera che sia ben piantata. Si va dai racconti e aneddoti personali dello stesso Herzog, che espandono gli spunti lanciati dagli intervista, fino ai numerosi tentativi, spesso vani, di ricostruire quel particolare ricordo, quella particolare esperienza che li ha legati in un determinato momento delle loro vite, passando per le parentesi in cui il regista si abbandona ad una composta commozione nel rievocare gli ultimi giorni di vita di Chatwin, arrivando a confrontarsi con intere sequenze in cui, goffamente, Herzog entra in campo in piena intervista e organizza il profilmico alla ricerca della resa visiva migliore, disinteressandosi completamente o quasi dell’intervistato.
Ad un’occhiata più attenta, Nomad è uno di quei (rari) casi in cui cinema e vita si incontrano e procedono di pari passo fino a creare un percorso coerente e pregnante, assimilabile, probabilmente, in questo senso, a Nick’s Movie di Wim Wenders.
Nel suo essere opera centrifuga, rivolta verso l’esterno, protesa ad analizzare reale (o uno dei suoi protagonisti, poco cambia in realtà), Nomad è in effetti un’opera profondamente inscritta nelle coordinate stilistiche tipiche del cinema di Herzog, meglio ancora, Nomad è il cinema di Werner Herzog alla prova del reale.
Il progetto del regista si esplicita in tutta la sua chiarezza in realtà poco dopo l’inizio della pellicola. Nel voler ripercorrere alcune delle tappe essenziali della vita di Chatwin, recandosi in prima persona, ad esempio, nei luoghi dei suoi studi o delle sue esplorazioni, Herzog punta a porre in comunicazione il suo modo di intendere la Natura con quello, per certi versi opposto al suo, come si vedrà, di Chatwin, fino a trovarne una possibile sintesi.
E tutto il progetto, in effetti, è concepito in modo tale che queste due letture di un tema comune scorrano costantemente l’una sopra all’altra fino a individuare tutte le possibili sfaccettature delle loro diverse interazioni e argomentazioni.
Nel suo essere documentario, Nomad è in effetti concepito, almeno formalmente, come un film di finzione di Herzog: è concreto, carnale, attento a sottolineare tutte le sfumature più inquietanti di quella natura con cui ha interagito Chatwin nel corso della sua breve vita. Al contempo, il costante parallelismo tra la vita e gli studi di Chatwin e quella di Herzog, con il primo che, a volte, viene guidato nelle sue riflessioni dal cinema di Herzog ed il secondo che prende spunto, ad esempio da romanzi e saggi dell’antropologo per il suo cinema, finiscono per restituire (almeno in apparenza) l’immagine di un Bruce Chatwin mai così vicino ad incarnare i tratti di un personaggio che non avrebbe sfigurato nella galleria di protagonisti Herzoghiani, insieme ad un Aguirre o ad un Fitzcarraldo.
Herzog opera sul ricordo e sull’immagine pubblica del suo amico fino a problematizzarlo concretamente. In Chatwin sembra albergare, in buona sostanza, la pura pulsione innata all’esplorazione che è uno degli elementi essenziali alla vita c’è, almeno apparentemente, la costante sfida alla Natura, che, per essere compresa in tutta la sua essenza, si vorrebbe piegare al proprio volere e c’è, inesorabile, la sconfitta dell’uomo a discapito di quella stessa natura che egli avrebbe voluto assoggettare, una sconfitta che, nel caso di Chatwin, è una delle più brutali che si possa immaginare.
Herzog non perde occasione, a margine, per porre in luce certe apparenti ambiguità nell’approccio di Chatwin al suo orizzonte di studio, restituendo alla pellicola il ritratto di un antropologo che, ad esempio, schernendosi dietro la fame di sapere, non si è fatto problemi a rivelare rituali iniziatici degli aborigeni ne Le Vie Dei Canti e non sembra essersi interrogato a lungo sulle problematiche profonde sottese alla sua personale ricerca di una delle ultime tribù nomadi non ancora estinte.
Si tratta, tuttavia, di una lettura straordinariamente superficiale. Per quanto Herzog, quasi alla costante ricerca di un contraddittorio, si sforzi, con un affetto quasi ironico a cogliere in fallo l’amico Chatwin o anche, più semplicemente ad avvicinarlo alla sua filosofia esistenziale, legata alla visione di una natura tiranna, contro cui si può solo perdere non senza, tuttavia, aver speso tutte le proprie energie nel tentativo di soverchiarla, le sue argomentazioni finiscono, irrimediabilmente, per cozzare con la realtà dei fatti.
Bruce Chatwin, ce lo dicono le interviste, gli interventi in voice over di Herzog, quelli dello stesso studioso che legge stralci del suo In Patagonia ma anche le conversazioni che il regista intrattiene con alcune delle persone le cui esistenze hanno finito per essere influenzate da Chatwin stesso, è piuttosto una sorta di doppio positivo di Herzog.
Animato dalla stessa fascinazione per la natura del regista tedesco, Chatwin, negli anni, ha tematizzato la sua attrazione per questo universo inquieto e affascinante attraverso il filtro della pura curiosità e della meraviglia. Se la filosofia di Herzog muove dal sublime dinamico, da un dialogo con la natura che non è mai, effettivamente, dialogo, quanto, piuttosto una costante prova di forza da cui si esce perdenti, Chatwin sembra partire dal sublime matematico, dalla consapevole lettura di una natura come insieme di connessioni complesse, da osservare con interesse, spinti dal desiderio di comprenderne ogni sfaccettatura ma coscienti di come introiettare pienamente questo microcosmo, anche solo attraverso lo studio accademico, è complesso se non impossibile.
Meglio, dunque, non interferire pienamente con la Natura, piuttosto tentare di analizzarla avendo bene in mente che alcuni dei suoi aspetti più complessi sfuggono alla classificazione, alla comprensione, o anche solo alla divulgazione al pubblico. In fondo, a ben guardare, già in quel Nomad, quel Nomade che dà il titolo al progetto e che riassume l’ideologia cardine di Chatwin è ben riassunta anche la lettura del rapporto tra la natura e l’uomo che ha guidato lo studioso nelle sue ricerche. Come il nomade l’essere umano non può far altro che esperire la natura, attraversarla, interagire con essa, approcciarla con rispetto e reverenza, non piegarla ai suoi scopi, né tentare di comprenderla pienamente.
Nomad è, di fatto, un lungo e affettuoso dibattito a distanza, nutrito di ricordi e sensazioni istintive tra due concezioni differenti non solo della Natura ma, a ben guardare, anche della vita. Nomad è il luogo dove, forse per la prima volta, almeno a tratti, nel problematizzare (anche) sé stesso ed il suo cinema, Werner Herzog non può fare a meno di mettere in crisi il suo mezzo d’espressione maggiore, che per la prima volta si ritrova nudo, indifeso, volutamente attaccato nelle sue zone d’ombra da una lettura ideologica della vita e del Reale che dimostra quanto un diverso approccio al sensibile è possibile.
Alessio Baronci