Il cinema della cronaca nera ne “Gli uomini d’oro”
Nella storia di una nazione accadono eventi che la contraddistinguono in modo indelebile. Fatti politici, gesta eroiche, catastrofi naturali o attentati terroristici, momenti da cui il mondo della cultura ha tratto ispirazione per reinterpretarli sotto stili diversi, dall’arte ai libri o dalla tv al cinema. Proprio quest’ultimo è sicuramente il mezzo più usato per far rivivere alle nuove generazioni i grandi eventi della storia del proprio paese. E ovviamente l’Italia non è fuori da questo discorso.
Ma, al netto di tali importanti momenti nazionali, ce ne sono tanti altri, cosiddetti “minori”, che hanno comunque dato il loro contributo al cinema italiano. Spesso si tratta di casi di cronaca nera che hanno avuto grande risalto in un determinato momento storico, per poi essere dimenticati da stampa e opinione pubblica. Ma le storie di alcuni di questi fatti, seppur ormai datati, sono ancora forte ispirazione per il nostro cinema.
La rapina della Poste di Torino del 1996
E’ questo il caso di ciò che è avvenuto ormai 24 anni fa, nel 1996, a Torino. Era un mercoledì qualunque di fine giugno, quando alla sede centrale delle Poste del capoluogo piemontese si accorsero di esser appena stati derubati. Al posto delle classiche mazzette di denaro, all’interno dei sacchi i funzionari si trovarono davanti tanti ritagli di giornale sapientemente sistemati. Tra di essi spuntarono anche dei pezzi di una busta paga con un nome, quello di Giuliano Guerzoni, un impiegato proprio delle Poste e mente del colpo. Guerzoni aveva il compito di guidare il furgone che faceva il giro della città per ritirare gli incassi di fine giornata dagli uffici postali. Il bottino ammontava a circa 2 miliardi e mezzo di lire e gli autori del furto si erano già dileguati da Torino.
Autori e non autore perché i coinvolti diretti nel “colpo perfetto” erano ben quattro. C’era Enrico Ughini, stretto amico di Guerzoni ed ex dipendente delle Poste; aveva il compito di nascondersi nella cassaforte del furgone e scambiare le mazzette di soldi con i pezzi di giornale durante il tragitto. Poi Domenico Cante, collega di Guerzoni che ritirava gli incassi da ogni ufficio; d’aiuto grazie alla fiducia che aveva guadagnato con la scorta di poliziotti del furgone e conoscente di qualcuno che poteva fornire i documenti per la fuga all’estero. Infine Ivan Cella, grande amico di Cante che aveva contatti con la malavita torinese; per una parte del profitto della rapina fornì i passaporti falsi a Guerzoni e Ughini per poter scappare in Costa Rica.
Ma i due lì non ci arriveranno mai, perché verranno uccisi e sepolti la notte stessa del 26 giugno 1996. I corpi saranno ritrovati 17 giorni dopo la rapina da un contadino. Guerzoni e Ughini sono stati uccisi a colpi di pistola e dopo le indagini si scoprirà che gli assassini sono i complici Cante e Cella. Il primo sarà condannato a 28 anni di carcere, ma lì vi morirà dopo un infarto nel 2004. Il secondo, dopo una fuga tra Albania e Bolivia, verrà trovato in Sud America nel 1997 e condannato, anch’esso, a 28 anni di reclusione.
La rapina di Torino nella cultura italiana
Questa storia, quasi d’altri tempi, ha ispirato non poco il mondo della cultura italiana. Infatti, nel 1998 Carlo Lucarelli ci dedicò una puntata del suo Blu Notte e nel 2018 il giornalista e attore Bruno Gambarotta ci ha scritto un libro dal nome “Il colpo degli uomini d’oro – Il furto del secolo alle Poste di Torino”. Ma la vicenda ha lasciato il segno anche nel cinema nostrano, con due pellicole liberamente ispirate a questo fatto uscite nel 2000 e nel 2019. La prima è Qui non è il paradiso di Gianluca Maria Tavarelli, mentre la seconda è Gli uomini d’oro di Vincenzo Alfieri. Ed è proprio di questo film di cui parleremo ora.
“Gli uomini d’oro” Morelli, De Luigi, Leo e Ragone
Il film, come detto, è ispirato alla vicenda della rapina del 1996 a Torino, anno e luogo in cui avvengono anche i fatti della pellicola. Luigi Meroni (Giampaolo Morelli) è l’impiegato delle Poste insoddisfatto che sogna di cambiare vita e vivere in Costa Rica. Il paese caraibico è uno dei tratti simili al personaggio a cui si ispira, ovvero quello di Guerzoni: Meroni, infatti, è anche un playboy e amante della bella vita. Meroni è collega di Alvise Zago (Fabio De Luigi), alter ego di Cante, con cui compie ogni giorno il giro degli uffici postali di Torino per ritirare gli incassi. Meroni, però, è anche grande amico di Luciano Bodini (Giuseppe Ragone), ispirato a Ughini, ex impiegato delle Poste da poco in pensione.
La rapina si svolge in modo pressoché identico a quella avvenuta nella realtà, con Bodini nascosto nella cassaforte a scambiare i soldi con i ritagli di giornale, mentre gli altri due “svolgevano” il loro lavoro. Nonostante qualche imprevisto durante il colpo per giustificare i soldi lasciati sbadatamente e realmente sul furgone, tutto va a buon fine. I tre si dividono per poi ritrovarsi la sera al bar del Lupo (Edoardo Leo), ispirato a Cella, a spartirsi il denaro e fuggire dall’Italia. Ma durante il conteggio dei soldi il Lupo si accorge della mancanza di quasi 500 milioni e tutto degenera anche per futili motivi. Meroni e Bodini vengono inseguiti a colpi di pistola nei boschi, ma muoiono per esser caduti in una scarpata.
Zago e il Lupo seppelliscono i corpi, ma il primo, una volta tornato a casa, ha un infarto. In ospedale viene interrogato dalla polizia, ormai informata della rapina, ma la moglie non collabora con la sua versione, causando un altro letale infarto al marito. Il tutto mentre il Lupo e la sua ragazza vengono raggiunti al bar dallo strozzino Boutique (Gian Marco Tognazzi), che viene ucciso e i due fuggono via in moto.
La cronaca da nera diventa “noir”
Il fattore che più salta all’occhio guardando “Gli uomini d’oro” è l’atmosfera noir e thriller che cresce durante il film. Questo anche grazie alla struttura a capitoli, nel voler raccontare una per una le storie dei tre personaggi principali del film. Si inizia da Meroni “il playboy”, napoletano, stufo del lavoro e della paga misera che non gli permettono di realizzare i suoi sogni. Lui vuole realmente andare a vivere in Costa Rica e mette in atto il piano per rubare il bottino del furgone delle Poste che guida ogni giorno. Non ha intenti criminali seri, ma vuole solo dare una svolta alla sua vita. Anche per questo il suo personaggio è spesso circondato dalle vistose luci al neon che illuminano il nero circostante.
Poi si passa a Zago “il cacciatore”, un impiegato modello delle Poste, cardiopatico, amante della caccia, tifoso del Torino, sposato e con una figlia. La sua vita sembra tranquilla, ma il rapporto con la moglie è scevro, tanto che lei sospetta che abbia un amante, quando invece va ad aiutare l’amico Nicola (Il Lupo) per faccende private e del bar che co-gestiscono. All’inizio non crede al piano di Meroni, ma poi si convince ad aiutarlo per poter avere quei soldi che gli avrebbe permesso di migliorare la sua vita, che ha colori grigi e cupi.
Infine si chiude con Nicola “il Lupo”, ex pugile che ora gestisce un bar per motociclisti fuori Torino. Ha un rapporto travagliato con la fidanzata e fa anche lo strozzino per conto di un noto sarto della città, Boutique. I contatti con la malavita non gli mancano ed è il personaggio più oscuro dei tre principali.
Il personaggio di Bodini, per quanto fondamentale nell’attuazione del colpo, è reso marginale rispetto agli altri tre. La sua storia viene accorpata a quella di Meroni, ma di lui si sa poco e niente se non che sia lucano, dipendente delle Poste in pensione e grande tifoso della Juventus. Proprio quest’ultimo aspetto, connesso con la passione di Zago per il Torino, sarà una delle cause scatenanti del litigio che porterà poi alla morte di Meroni e Bodini.
Il solito antagonismo tra Nord e Sud
Fin qui il film ha tessuto benissimo le sue trame, ponendo allo spettatore un quadro completo ed intimistico dei suoi personaggi principali. E’ riuscito a far crescere in ottimo modo un’atmosfera tesa e noir attorno alla vicenda fino ai momenti finali. Ma poi tutto si perde nella resa dei conti. Perché a scatenare l’acceso litigio tra i quattro non saranno i soldi mancanti, ma il becero e solito antagonismo tra Nord e Sud. Non solo, visto che si tira anche in ballo la rivalità tra Juventus e Torino. Infatti, Bodini insulta Zago per i risultati del suo Toro (citando anche Superga), il quale risponde definendolo “terrone” e finendo per insultare anche le origini napoletane di Meroni. Gli insulti di Bodini continuano finchè Zago non spara diversi colpi dalla pistola del Lupo, mancando, però, i due. Il resto, poi, lo sappiamo.
Insomma, motivi futili di cui, sinceramente, avremmo fatto volentieri a meno e che spezzano di netto l’atmosfera andatasi a creare fino a quel momento.
Per chiudere vorrei permettermi di fare una menzione speciale a Fabio De Luigi. Tutti conosciamo le sue doti comiche e di attore di film leggeri e scanzonati, ma vederlo nei panni di Alvise Zago mi ha davvero sorpreso. Un ruolo diverso dal solito ma che ben si è adattato alla sua incredibile bravura e duttilità. Un Fabio De Luigi dai toni così noir e cupi è stato una piacevole sorpresa, se non la cosa migliore di questo film.
Un vero uomo d’oro. Anzi, attore d’oro.