Essere Nel Tempo – Spider-Man: Into The Spider-Verse
Spider-Man: Into The Spider-Verse è stato senza dubbio uno dei pezzi di punta dell’annata cinematografica 2018. Lo diciamo fin da subito, ma in fondo, per certi versi, quest’affermazione, soprattutto se presa da sola, ha poco valore non perché sia in qualche modo lontana dalla verità ma perché non fa altro che ripetere ciò che già è stato detto decine di volte da coloro che il film l’hanno già visto e recensito. Ciò che ci rimane da fare, dunque, è proprio partire da questo dato di fatto oggettivo e lavorare sulle interazioni tra tutte le componenti in gioco all’interno della pellicola, cioè sugli unici elementi che possono, di fatto, offrirci una prospettiva più approfondita che ci aiuti a spiegare il senso intrinseco alla base di Spider-Man Into The Spiderverse (oltreché alle spalle della sua straordinaria qualità).
Cosa c’è, in buona sostanza, di fronte a noi? Cos’è, prima di qualsiasi altra cosa Into The Spiderverse?
Ci stiamo confrontando con un progetto visivamente ambizioso, con una regia straordinariamente dinamica che parte dalla volontà di porsi al servizio di un racconto veloce e coinvolgente, di fatto amplificando le sensazioni stimolate negli spettatori dalla narrazione ma che, al contempo, quasi da subito prova a crearsi una sua propria dimensione specifica in cui operare e in cui declinare criticamente la pura materia del racconto. Ecco dunque che, strutturandosi attorno al ritmo costantemente accelerato su cui si muove il film, il puro tessuto visivo viene costantemente distorto, modellato, pronto ad accogliere input provenienti dalle dimensioni creative più svariate, dalla stop-motion alla parodia, dalla cultura pop, al videogame passando per i Looney Tunes e l’autoreferenzialità più spinta. Il mondo, la dimensione al contempo creata da Into The Spiderverse e in cui Into The Spiderverse si muove diventa quindi uno spazio multiforme ma potremmo anche dire straordinariamente multimediale in cui l’alto si mischia con il basso, l’ipertecnologia comunica senza alcun problema con il low-fi più evidente e tutte queste componenti finiscono per esprimersi con una loro propria voce, entrando in contatto con la materia del racconto non solo arricchendola ma soprattutto senza soluzione di continuità, senza, cioè che il ritmo generale accenni a diminuire neanche per un secondo.
Su un livello superiore di riflessione, all’interno del suo orizzonte tematico, il film sceglie, consapevolmente, di non scendere a compromessi.
In un momento storico in cui i ragazzini, coloro che più potrebbero giovare di certo cinema, di certe narrazioni da prendere a modello per la loro crescita, la loro maturazione, vengono costantemente schermati, protetti, a volte eccessivamente, dalle loro famiglie, dai loro genitori, che spesso li fanno confrontare con pellicole edulcorate, addolcite, che sembrano glissare su quegli elementi traumatici che, se affrontati nel giusto modo sono la pietra di volta per una crescita, per una maturazione consapevole, Into The Spiderverse sceglie la strada più dura.
Lo spettatore si interfaccia fin dal primo minuto con un mondo in cui il concetto di (super) eroe viene costantemente rivisto, modificato, reinserito in coordinate inconsuete rispetto a quanto egli (soprattutto se particolarmente giovane, non dimentichiamo mai quanto il film, per essere compreso, debba essere visto attraverso gli occhi dei bambini e degli adolescenti) è abituato a vedere.
Into The Spiderverse è letteralmente puntellato da una destrutturazione quasi continua dell’arrampicamuri sviluppata attraverso le sue varie versioni interdimensionali: uno di essi muore brutalmente a inizio film, un altro (il Peter Parker Prime, quello del nostro piano dimensionale) è un grasso quarantenne svogliato, divorziato dall’amore della sua vita, fresco della perdita di zia May, la cosiddetta Spider Gwen è letteralmente un distorto ribaltamento gender bender dell’eroe di Stan Lee e Steve Ditko e gli ultimi tre eroi che andranno a formare quelli che nei fumetti verranno chiamati Web Warriors sono, pur nella serietà quasi straniante con cui si rapportano al loro ruolo e alla storia che li coinvolge per la maggior parte del tempo, parodie di generi (il noir dello Spider – Man “omonimo”), di forme legate all’intrattenimento popolare (l’Anime e il Manga di Peni Parker), di vere e proprie aziende a loro modo “concorrenti” della stessa Sony (Spider Ham proveniente da un piano dimensionale in cui tutti i personaggi Marvel sono animali antropomorfi a metà tra le Silly Sinphonies di Walt Disney e i cartoni di Bugs Bunny e Daffy Duck della Warner Bros). A fare da trait d’union, a smuovere le varie istanze delle parti in gioco e a far muovere la storia c’è Miles Morales, Spider-Man in potenza impegnato in un percorso di maturazione e consapevolezza di sé e dei suoi stessi poteri che, forse, non è mai stato reso in maniera così umana e, al contempo, nei limiti del possibile, realistico, tanto l’epilogo, la completa formazione del protagonista, è dilatata nel tempo, è puntellata di fallimenti, di aggiustamenti di percorso, non è data per scontata, è frutto di un profondo ed evidente lavoro sull’interiorità del protagonista.
Perché, dunque, al di là dell’oggettiva qualità, non solo Into The Spiderverse funziona ma costituisce anche un nuovo punto zero da cui ripartire per riformare il modo di intendere il racconto di formazione e il film per bambini e adolescenti, un progetto con cui, chiunque verrà dopo, non potrà fare a meno di confrontarsi?
Tutto potrebbe partire, in fondo, dal linguaggio, dalla sintassi attorno a cui si organizza il film.
Into The Spiderverse è infatti uno di quei rari film che parla alla perfezione il linguaggio del suo pubblico medio.
Viviamo in una società iperaccellerata, veniamo aggrediti da stimoli visivi, sonori, contenutistici e tematici continui, input che finiscono per entrare in contatto, per influenzarsi a vicenda, per sintetizzare qualcosa di nuovo, unico, sempre diverso. Se questo contesto sociale può essere, a volte, difficile da decifrare per l’adulto, è indubbio che è al contempo l’ambiente in cui le nuove generazioni crescono e con cui si confrontano praticamente su base quotidiana. Into The Spiderverse non lo giudica, non lo connota, ma utilizzando quella stessa velocità, quella stessa ricchezza di stimoli come vero e proprio materiale costruttivo punta piuttosto a dare dignità a questo stesso contesto socioculturale e, al contempo, pone sotto i riflettori rendendoli interlocutori privilegiati del dialogo che andrà a imbastire attraverso la narrazione quei giovani adulti a cui quella stessa narrazione è diretta (si pensi, oltre a ciò che abbiamo già accennato in precedenza, a quanto il film sia ben piantato nelle due fondamenta costituite dallo Spider-Man per Playstation 4, dunque in un recente videogioco di successo e nella colonna sonora in cui sono la trap e l’hip-hop contemporaneo, generi amatissimi dalle nuove generazioni)
Into The Spiderverse parla la stessa lingua dei suoi giovani spettatori ma, forse, ancora più interessante in questo senso è riflettere sulla natura profonda della comunicazione che il film intende organizzare primariamente con loro.
Pur trattandosi di un racconto di formazione, pur configurando una situazione di crescita e maturazione Into The Spiderverse ha l’intelligenza di trattare i giovani spettatori come persone dotate già di una particolare predisposizione al dialogo, al confronto su presupposti complessi.
È un film per bambini e adolescenti, dunque, ma non è, per questo, un film sicuro o ancor meglio rassicurante per i suoi spettatori, che nel corso della narrazione si ritrovano a confrontarsi senza filtri con tematiche quali la perdita, la morte, la caduta degli eroi, le insicurezze. La pellicola non risparmia nulla, non addolcisce in nessun caso il racconto nel momento in cui la narrazione finisce per intersecare i punti focali della maturazione di Miles Morales, delega ad altre sequenze i momenti di alleggerimento, non si fa scrupoli a mostrare in scena un omicidio o, più semplicemente, a tematizzare il senso di smarrimento che accompagna la distruzione di ogni certezza, che è poi il punto di partenza da cui inizia ogni maturazione.
Ecco, forse, perché Into The Spiderverse vince. Perché da un lato non si tira indietro di un passo, mai, riguardo al suo ruolo formativo, quasi pedagogico che si arroga nei confronti del suo pubblico base, dall’altro perché, per la prima volta da anni, un film con intenti formativi non sceglie di salire in cattedra, di rivolgersi al suo pubblico con fare saccente e al contempo severo e austero, Into The Spiderverse porta piuttosto i suoi spettatori sul suo stesso piano, parla la loro stessa lingua, li fa sentire, per certi versi, compresi, ben accolti, li avvicina, si rivolge a loro come a degli allievi dotati già di alcuni prerequisiti utili a recepire ancor meglio il messaggio alla base della narrazione, non a degli stupidi immaturi.
Di fronte a noi c’è dunque un film perfettamente inserito nel tempo, un film che, tuttavia, e questo è evidente, il tempo, inteso come dimensione cinematografica contemporanea, non potrà fare a meno di cambiarlo, negli anni a seguire.
Alessio Baronci