Appunti dalle piattaforme #3 – Detective, voci, esploratori
Spunti e suggestioni a partire dai titoli delle maggiori piattaforme streaming che ogni mese attireranno la nostra attenzione, siano essi legati alle ultime uscite o recuperi più o meno tardivi
Under The Silver Lake (David Robert Mitchell, 2018)
Autocompiaciuto e forse didascalico a tratti (ma anche It Follows lo era…), è comunque permeato da un’atmosfera finale, apocalittica, che mi affascina sempre.
L’epilogo del neo-noir, gamificato, insensato, infestato da miti, immagini (e immaginari), morti e spettri.
Lo trovate su Mubi
Finch (Miguel Sapochnik, 2021)
Il vero film inizia, forse, negli ultimi dieci minuti prima dei titoli di coda. Prima, tutto è evidentemente in mano a Tom Hanks, al suo corpo, alla sua solita performance della vita. Ma l’atmosfera è opprimente, e Sapochnik, forse uno dei migliori registi televisivi in circolazione (le sue furono le puntate di GOT con l’impatto scenico maggiore), è inibito e non esce mai dal seminato con un’idea che sia davvero sua, limitandosi a lavorare sugli spazi.
E così, in “Finch” ci sono Brad Bird, Zemeckis, l’immancabile Spielberg, addirittura suggestioni da Love+Death And Robot e al di là della dimensione emotiva, dal pathos, è più o meno tutto già visto, tutto già vecchio.
Lo trovate su Appletv+
The Guilty (Antoine Fuqua, 2021)
Non sposta nulla in termini concettuali, questo si sapeva già, ma rimane comunque un prodotto molto istruttivo per comprendere certe derive del cinema pop contemporaneo, sopratutto di marca americana.
Perché The Guilty, riletto da Fuqua, racconta bene l’orrore della stasi che si portano dietro alcuni prodotti, sopratutto quelli legati al cinema delle piattaforme (ma anche quelli destinati primariamente alla sala non scherzano in questo senso), terrorizzati dalla perdita d’attenzione dello spettatore, dallo scroll annoiato, dalla messa in play di un altro prodotto.
E così lo spazio di “The Guilty”, pur se chiuso in quattro mura è costantemente movimentato dai gesti e dagli scatti del personaggio Jake Gyllenhall, sui cui problemi di rabbia repressa la narrazione si sofferma parecchio e che, forse non a caso, nei momenti di massima tensione esplode in attacchi di tosse asmatica (in fondo un altro tipo di movimento nervoso, involontario).
Ma a raccontare bene la paura del film di Fuqua ci pensano, forse, anche solo certi momenti “impossibili”, certe sequenze in cui l’azione esce anche solo figurativamente dalla centrale operativa e la macchina da presa inquadra certi dettagli solo evocati durante la chiamata.
Poi si…ci sarebbe anche il problema del good ending a tutti i costi, in fondo perfetta resa sulla scena di un altra paura, quella legata ad un racconto senza veri eroi, ma questo è un altro discorso…