#Rewatch 02 – Contraband (Peter Berg, 2012)
Vedere e rivedere film, a distanza di anni dalla prima volta. Una pratica diffusissima della cinefilia, che tuttavia, soprattutto la cultura di internet, tra meme e sfide social à la Letterbox ha portato a svuotare di senso, a renderla, spesso, etichetta di un modo di approcciare il cinema che punta più alla quantità, all’elitismo, che alla qualità della visione.
Noi vorremmo, se possibile, ribaltare la tendenza, riscoprire la radice del #rewatch, che in fondo significa, da un lato, mettere alla prova la nostra memoria a partire dai ricordi della prima visione di un determinato, dall’altro, forse soprattutto, riattraversare quella pellicola con la consapevolezza e la preparazione del presente, in modo da svelare connessioni inusuali con ciò che è seguito, ad esempio, a quel film, nel cinema contemporaneo o nella filmografia del suo regista.
Me lo ricordavo più solido, in realtà si sfilaccia parecchio nell’ultimo atto e la sparatoria centrale, che dieci anni fa avevo amato alla follia, è godibilissima ma anche molto meno spiazzante di quanto ricordassi.
Rimane, comunque, un film da non sottovalutare nell’ambito di una riflessione che abbia al centro la pervasività delle forme del cinema pop americano in quello europeo. Kornàkur riparte dalla struttura del film islandese di cui è stato protagonista nel 2008 e lo ripensa per l’America, rincorrendo giocoforza gli spettri di quel cinema massimalista, tra Jerry Bruckheimer, i noir metropolitani di Ben Affleck, forse anche la Bigelow ma sopratutto le future collaborazioni tra Peter Berg e Mark Whalberg, di cui “Contraband” pare inconsapevole prologo.
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