Mulan – Il Ritorno Alle Origini Tra Wuxia E Girl Power
«Molte sono le storie su Mulan, la grande guerriera.». Il film lo afferma sin dall’inizio. La stessa storia può essere raccontata in modi e sfaccettature differenti. Se poi teniamo conto di quanto questa particolare leggenda si innesti attorno a dei valori attuali e universali, l’idea della Disney di rimettere mano al mito è tutt’altro che malvagia. Anzi è proprio qui che è necessario partire fin da subito per poter trarre ulteriori riflessioni sul film di cui parleremo.
Il film animato di Tony Bancroft e Barry Cook prendeva libera ispirazione dalla leggenda e combinava il classico bildungsroman con un musical intriso di colori e toni favolistici. Nel cartone la protagonista era una ragazza comune che si traveste da uomo per salvare la vita del padre infermo e nonostante la sua natura goffa e imperfetta, riesce a farsi valere grazie ad un fine intelletto e al sostegno di Mushu, un simpatico draghetto rosso che funge da “spirito guardiano”. Tanto per sottolineare quanto detto in premessa, nel 2009 ne è stato tratta un’altra versione contemporanea, sebbene meno nota rispetto al classico Disney con il titolo Hua Mulan – Rise of a warrior di Jingle Ma.
Questa premessa vuole dunque mettere in guardia lo spettatore, in particolare quello più nostalgico e ancora legato al ricordo del capolavoro d’animazione. Pur trovandoci all’interno di quel controverso filone dei remake Live Action, c’è una strategia del tutto diversa in questo caso. Laddove i film ripercorrevano pedissequamente il prototipo animato (pensiamo a La Bella e la Bestia, Il Re Leone o Aladdin), Mulan sceglie un’altra strada. Sceglie di ripartire dal mito e riproporlo al pubblico come fosse la storia delle origini dell’eroina cinese e del viaggio che l’ha resa leggenda.
Non a caso il film racconta il viaggio di maturazione di Mulan (Liu Yifei) sin da bambina (dal carattere indomito e vivace), ne segue lo sviluppo tra la durezza del campo d’addestramento e quello di battaglia fino alla consacrazione finale con gli onori ricevuti dall’imperatore e da tutta la nazione. Nel farlo tenta di far dialogare questa versione della storia con la matrice culturale “originaria” a cui appartiene.
È ragionevole pensare che questa volta la Casa di Topolino abbia provato a cogliere l’occasione per costruire un prodotto rivolto alle specificità del pubblico orientale proponendo un film vicino alla loro sensibilità. D’altronde non è un mistero il fatto che ad oggi il mercato cinese sia tra i più ricchi in termini di incassi al botteghino. Così come è abbastanza logico pensare che i cambiamenti introdotti in questa versione Live Action siano legati al tentativo di inserire quel racconto nelle coordinate di un wuxia fatto e finito.
A sottolineare questa scelta di forma, la regista Niki Caro lavora su un piano soprattutto visivo, legato all’azione, alla dimensione evocativa dell’immagine (i continui contrasti cromatici e il lavoro certosino delle scenografie) per costruire un coming of age ridotto all’osso in termini di scrittura. In quest’ottica i cambiamenti introdotti in questa versione assumo una rilevanza che è non solo significativa per motivi puramente formali ma che divengono apprezzabili aspetti nella volontà di restituire un arco narrativo della protagonista del tutto indipendente rispetto al prototipo animato.
Le canzoni diventano delle semplici melodie strumentali (con la significativa eccezione di Reflection, che possiamo ascoltare nei titoli di coda); l’interesse amoroso viene totalmente messo in secondo piano; i comic relief sono del tutto assenti. Persino la regia cerca di innestare un senso dello spettacolo capace di rievocare l’epica e il simbolismo sacro della tradizione cinematografica asiatica. Non è difficile infatti scorgere un’estetica che tenta di adeguarsi alle forme e ai colori del cinema cappa e spada di Zhang Yimou. Così come non si può fare a meno di notare il debito rispetto a La tigre e il dragone di Ang Lee (che guarda caso venne considerato come prima scelta per dirigere questo Mulan).
Il film si apre presentandoci una Mulan bambina dotata di un Qi straordinario (l’energia vitale che circonda tutti gli esseri viventi) che le permette di compiere impressionanti gesti atletici e di avere l’agilità di una guerriera. Secondo la tradizione, però, il suo è un dono riservato agli uomini, mentre le donne possono portare onore unicamente con il matrimonio. In caso contrario verrebbe subito tacciata di essere una strega. Una condizione che la obbliga a crescere mettendo a tacere questa sua “voce interiore“ e adattarsi alla vita che le convenzioni sociali prevedono per lei.
L’arco narrativo della ragazza la vede dapprima abbandonare il ruolo precostituito della “buona moglie” e poi, nel momento in cui giunge l’editto imperiale, ad abbracciare quello dell’eroina attraverso l’addestramento da soldato. Per evitare che il padre Hua Tzou vada in guerra, ne ruba l’armatura e si arruola nell’esercito al suo posto facendosi passare per il figlio maschio Hua Jun. Da qui percorre la cosiddetta via del guerriero e impara il senso pieno di quei valori incisi sulla spada paterna (Lealtà, Coraggio, Sincerità). Ma per aderire al percorso scelto è necessario avere un rapporto di completa sincerità con sé stessi, poiché solo in quel caso è possibile connettersi totalmente con la propria energia interiore.
Finché Mulan finge di essere chi non è non potrà mai trovare l’equilibrio interiore che le serve per combattere. Non potrà mai essere la guerriera che aspira a diventare finché non sarà disposta a rivelarsi, a far combaciare sé stessa al suo vero riflesso.
Un aspetto che si rivela significativo in tal senso è il rapporto tra Mulan e Xian Lang (Gong Li), una strega alleatasi con Bori Khan (Jason Scott Lee), capo rouran in cerca di vendetta nei confronti dell’imperatore. Proprio quest’ultima rappresenta sia l’antagonista sia il personaggio speculare con cui Mulan dovrà confrontarsi per compiere la sua presa di coscienza. Entrambe sono potenti guerriere, donne vittime del pregiudizio e alla ricerca di un luogo che le accetti per ciò che sono. Xia Lang ha scelto di schierarsi con il nemico per distruggere quell’ordine sociale che l’ha schernita e poi esiliata; Mulan invece lotta per cambiare quello stesso ordine dall’interno seguendo la nobile via del guerriero, a costo della vita e del disonore.
Se però Xia Lang è scesa a patti con quel potere maschile che tuttora continua a disprezzarla e a sfruttarla per i propri scopi, Mulan affronta un conflitto interiore che la obbliga a mettere da parte ciò che desidera e nascondere chi è davvero. La figura della Fenice, simbolo di rinascita (chiamata a sostituire il draghetto Mushu), assume così un significato ancor più pregnante nel percorso identitario compiuto da Mulan: Hua Jun deve morire affinché esista Mulan. Solo accettando sé stessa, sfidando le convenzioni e la legge, la donna potrà finalmente vivere secondo i propri desideri e diventare l’eroina che è destinata ad essere.
In questo senso Niki Caro prova a dire la sua sul ruolo della donna “forte”, talentuosa e incompresa all’interno di una società patriarcale, maschilista e rigidamente legata alle tradizioni (come già aveva fatto con La ragazza delle balene e North Country) con un racconto di crescita dal forte sapore girl power. La storia di una donna che deve prima di tutto imparare ad accettarsi e poi far sì che gli altri la accettino per ciò che è, senza tradire sé stessa e ciò in cui crede. Senza dover più fingere di essere ciò che non è.
Ma tutto ciò basta a rendere Mulan un live action riuscito e degno di nota? Non del tutto.
Vista la produzione, l’impressione generale è che il film non possa fare a meno di restare ancorato ad un modo di intendere lo spettacolo più fedele ai canoni occidentali. In tal senso se da un lato prova ad aderire al genere wuxia replicandone lo stile, le coreografie e il tono dall’altro restituisce solo in parte quel senso di mistero e di epicità a cui tanto aspira, anzi stenta a dare il giusto dinamismo e pecca spesso di un eccesso di pedanteria nei dialoghi.
La regia di Niki Caro sembra muoversi in modo diligente ma con il pilota automatico ben tirato quando si tratta di gestire le sequenze più spettacolari e ad alto tasso di azione, depotenziate da un montaggio confuso oltre che da un goffo utilizzo degli effetti speciali. Forse a causa di una non ottimale gestione del budget, il terzo atto è risolto in maniera frettolosa e sciatta. La stessa sceneggiatura si muove sul confine tra il minimale e il semplicistico con una Mulan sempre più simile ad una supereroina da fumetto ma priva di empatia. Persino il parterre di personaggi che la circonda è alquanto debole e poco definito nella scrittura; tutti ridotti a mera funzione narrativa e privi di spessore (fino a cadere nel macchiettistico, come nel caso del villain Bori Khan).
Per queste ragioni Mulan non riesce del tutto nei suoi intenti, o per meglio dire, a mettere in pratica quanto si prefigge. Allo stesso tempo, però, resta un degno esponente del filone “remake live action” proprio per la volontà di proporre una storia senza timore reverenziale nei confronti del classico animato; un dignitoso seppur imperfetto ritorno alle origini tra wuxia e istanze girl power.
Laura Sciarretta