Undone – Il Peso Del Reale E L’Autocoscienza
Lo scorso 13 settembre è finalmente sbarcata sulla piattaforma di Amazon Prime Undone attesissima serie d’animazione di otto episodi nata dalla mente di Raphael Bob-Waksberg e Kate Prudy, che si è imposta sin da subito come uno dei prodotti più innovativi e apprezzabili del suo genere, secondo i più. Eppure, mai come in questo caso, è necessario muoversi con discreta cautela per costruire un’analisi obbiettiva e attenta sull’argomento, non solo per comprendere di cosa si stia effettivamente parlando, ma soprattutto per decifrare le modalità attraverso cui Undone riesce a porsi in perfetta continuità con specifiche riflessioni messe in atto già altrove nell’ambito televisivo, riuscendo però a restare ben inserito in una dimensione d’autore forte e riconoscibile.
Il primo punto da cui partire, quello che salta subito all’occhio, è lo stile.
Iniziamo con il confermare che Undone è (visivamente parlando) uno degli oggetti di studio tra i più affascinanti che si siano mai visti sul piccolo schermo. Lo è per la cura nei dettagli e per la ricchezza di imput con cui la tecnica d’animazione scelta riassume in sé il peso strutturale su cui far muovere tutto il racconto: la combinazione tra ripresa dal vivo con attori in carne ed ossa, disegno e animazione in rotoscope conferisce alla messa in scena un’atmosfera ambigua, sospesa tra realismo e visionarietà, mai completamente afferrabile dove tutto ciò che accade è costantemente percepito come flessibile e plasmabile dai ricordi, dalle fantasie e dalle emozioni del personaggio che vi si muove all’interno. Non a caso la medesima tecnica è stata il punto di partenza dei lavori più sperimentali di un regista come Richard Linklater (il primo titolo che viene in mente è Waiking Life) o, per citare qualche esempio recente, di un paio di episodi della serie antologica Love, Death & Robots (mi riferisco in particolare a The Witness e Fish Night). Il team creativo, tra l’altro, è lo stesso di A Scanner Darkly, altro film di Linklater, stavolta ispirato all’omonimo racconto di Phlip K. Dick, uno dei più grandi scrittori di fantascienza distopica e che proprio su temi quali l’ambiguità nel percepire il reale, la necessità di ribellarsi all’ordine costituito e i lati oscuri dell’essere umano ha costruito le sue opere più rilevanti.
Nel caso di Undone la tecnica è perfettamente adeguata alle necessità del materiale di partenza proprio perché organizzata attorno ad una narrazione non lineare, costellata di interruzioni, ribaltamenti e ripetizioni di singoli eventi che solo in un secondo o in un terzo momento acquisiscono un significato agli occhi della protagonista (e di conseguenza dello spettatore) ed è così che il vissuto, i ricordi, vengono rielaborati come in un flusso di coscienza continuo e allucinato. In seguito ad un incidente d’auto, Alma si risveglia dal coma dotata della particolare capacità di muoversi attraverso varie dimensioni spazio-temporali, riuscendo così a vivere costantemente tra passato e presente, tra realtà fisica (quella di tutti i giorni di cui fanno parte sua sorella Becca, il fidanzato Sam e sua madre Camila) e piano sovrasensibile (che le permette di comunicare con il fantasma di suo padre Jacob). Ma quanto c’è di vero nelle visioni di Alma e quanto no? Sono il frutto di un potere sovrumano o lo spettro di una latente schizofrenia? Inoltre la scelta di muovere la narrazione solo dal punto di vista della donna non offre alcun appiglio allo spettatore, costantemente in dubbio se quanto accade è reale o no. La combinazione tra la concretezza della performance, l’astrattezza del disegno e la sovrapposizione dei piani permette così di trasformare Undone in uno spazio multiforme e in continuo divenire, arricchito anche sotto il profilo prettamente narrativo in cui si verifica un’efficace mescolanza di generi, da quello fantascientifico per poi abbracciare i meccanismi della detective story (in cui Alma viene coinvolta dal padre per scoprire la verità dietro la sua morte e salvarlo), quelli del dramma (soprattutto in alcuni momenti di intimità o durante i flashback riferiti all’infanzia di Alma) e poi ancora quelli del coming of age.
Queste ultime considerazioni ci permettono di arrivare sul secondo punto dell’analisi, ovvero la scrittura.
Come posto nella premessa, Undone è stato scritto e ideato dalle stesse menti creative di Bojack Horseman, probabilmente uno dei prodotti più eleganti, rivoluzionari e complessi che si siano mai visti nel panorama televisivo contemporaneo. Per dirla breve, si tratta di una serie d’animazione che prende le mosse dal linguaggio di prodotti tv come South Park, I Simpson, Futurama o I Griffin (per citare giusto qualche nome) per poi seguire una strada propria in cui riesce a sviluppare il racconto sul piano orizzontale (quello legato ai tentativi del protagonista di rilanciarsi agli occhi del pubblico) e a sorprendere su quello verticale, dove la scrittura lavora per introspezione, spesso e volentieri mostrando gli aspetti più oscuri, egocentrici e negativi della personalità di Bojack, talvolta trasformandosi in vere e proprie riflessioni esistenziali (su un attore e i suoi traumi infantili, sul senso di colpa, sulla ricerca di stabilità e di una vita serena e appagante) pur restando all’interno di una cornice organizzata attorno alla comicità più spinta e alla satira dello Star System.
Undone accoglie e rilancia una serie di istanze e motivi già esplorati lì, in particolare nella caratterizzazione dei personaggi e nell’alternanza dei toni, da quello più grottesco alla leggerezza, da quello più lisergico (non a caso l’episodio Downer Ending è stato il punto di partenza di questa nuova collaborazione tra l’ideatore e Kate Purdy) a quello più introspettivo.
“Sono stanca di vivere” esprime Alma la prima volta che la sentiamo parlare. “Mi sveglio tutte le mattine nello stesso letto con la stessa persona. Mi faccio la doccia. Mi lavo i denti. Mi vesto. Faccio sempre la stessa colazione e percorro la stessa strada per andare a lavoro. Ho 28 anni e vivo nel terrore costante che sia tutto qui.” La figura di Jacob, oltre che una guida per imparare a gestire le visioni, è quasi una rappresentazione del suo inconscio, di una parte di lei che la porta a distaccarsi da tutto e tutti, a voler credere in qualcosa di meglio della sua quotidianità noiosa e priva di stimoli, a cercare qualcosa di più del ruolo di moglie o di madre di famiglia. Il conflitto che si instaura tra realtà e sogno è insito nella protagonista, non è altro che l’esplicazione della sua difficoltà di decidere che tipo di persona vuole essere. Ecco che allora l’espediente fantascientifico diviene solo un mero pretesto, un espediente, uno strumento attraverso il quale costruire un percorso di autocoscienza in cui la protagonista si confronta con le proprie emozioni e con i propri ricordi (soprattutto quelli più dolorosi). Alma si descrive come una donna rotta, che distrugge tutto ciò che la circonda, che vuole vivere nel silenzio ma durante le diverse incursioni nella sua memoria riesce a filtrare il mondo attorno a lei in modo sempre più consapevole e ad ascoltare le voci degli altri, ad assumere la prospettiva degli altri: si riconosce nella difficoltà di Sam di amarla e di volerle stare vicino nonostante tutto, nelle illusioni e nei dubbi della sorella Becca verso la futura vita matrimoniale e poi ancora nel senso di colpa taciuto della madre Camila nei confronti delle figlie. In questo senso, massima espressione del lavoro di introspezione attuato sulla protagonista e della dualità insita nella sua psiche, è l’episodio Alone In This (You Have Me), in cui si rilanciano le tematiche legate al ricordo, alla crisi di coppia, alla solitudine (in cui Alma è vissuta sin dall’infanzia a causa del suo handicap uditivo), al confronto tra l’io e gli altri e alla necessità di una fuga dalla realtà. Alma è un personaggio autodistruttivo, volto spesso a dissociarsi attraverso un sarcasmo spesso e volentieri crudele o semplicemente lasciandosi avvolgere dal silenzio, che si chiede cosa desidera dalla vita e con un passato ingombrante da affrontare.
Il terzo ed ultimo aspetto che permette ad un titolo come questo di essere perfettamente inserito nel suo tempo è la capacità di rivolgersi allo spettatore e di raccontare le difficoltà e i dubbi esistenziali di un’intera generazione.
Bisogna ammettere che il progetto in sé appare meno compatto e stabile di altri prodotti più affini, scopre il fianco a qualche semplificazione di troppo rischiando di perdere le redini del racconto, ma vince e sorprende nelle modalità in cui contestualizza il dramma della protagonista rispetto al quadro socioculturale a cui si riferisce.
Di fatto, ancora una volta, con Undone la serialità televisiva si interroga e si alimenta a partire dal malessere, dal caos e dalla crisi identitaria dei millenials, come già dimostrato di recente da Russian Doll, serie targata Netflix e ideata da Natasha Lyonne, Amy Poehler e Leslye Headland. Entrambe i progetti, pur appartenenti a generi e stili all’apparenza distanti, propongono due figure femminili contradditori, senza prospettive e profondamente credibili nel disagio esistenziale che incarnano. Come Nadia, la protagonista di Russian Doll, Alma è una ragazza intelligente, realizzata, con una personalità ribelle e un po’ sfacciata, sferzante nei giudizi, ma è anche profondamente immatura, incapace di mettersi in gioco emotivamente o di vivere con serenità, ed è spesso incline a momenti di crudeltà, insincerità e totale egoismo nei confronti degli altri. Sono due donne che nel corso degli episodi, grazie alla capacità di “muoversi nel tempo” (l’espediente del loop temporale per Nadia e quello del viaggio per Alma) si confrontano con i rispettivi problemi esistenziali, le loro paure, il senso di vuoto che le circonda e alla fine imparano (forse) ad accettare la vita con tutte le difficoltà e le insoddisfazioni del caso, a rendersi conto del mondo e delle persone intorno a loro. In un episodio cruciale, Alma riesce a interviene sul tempo per evitare che una rivelazione possa mandare in frantumi il matrimonio di Becca. Se prima tendeva a confondere quello che le accadeva attorno, arrivando a ferire gli altri e mettere se stessa al centro dell’attenzione sempre e comunque, per la prima volta mette davanti a tutto sua sorella, vive un momento di felicità in famiglia, pur sapendo che forse non durerà. Il topos del viaggio nel tempo risponde in entrambi i casi alla necessità delle protagoniste di ricostruire i frammenti delle rispettive esistenze, di scendere a patti con un passato doloroso e difficile da decifrare. Diviene la base per una ricerca dell’identità in costante divenire, mai classificabile all’interno dei facili stereotipi e, alla fine, ci appaiono come due rappresentazioni del femminile imperfette ma pienamente coscienti, vividi riflessi delle insicurezze e delle problematiche che una persona normalissima vive ogni giorno: il disincantato, l’insoddisfazione e la noiosa routine dal lavoro, le aspettative della società moderna, la fragilità delle relazioni personali, l’egoismo, la delusione e la paura delle emozioni. Tutti aspetti concreti, veri, antiretorici, magari anche disagevoli nella vita di Alma ma che sentiamo riguardarci da vicino.
Laura Sciarretta