Is Heaven A Place On Earth? Analisi di Black Mirror 3.4: San Junipero
San Junipero, o dell’anomala distopia
Benvenuti a San Junipero. Che cos’è San Junipero? Non vi affrettate a rispondere, rischierete di cadere in un tranello antico: scambiare un oggetto per la sua immagine riflessa. Perché San Junipero è prima di tutto uno specchio.
O meglio: un gioco di specchi, un concerto di riflessi che osservano altri riflessi, tra ammiccamenti complici e crepe improvvise nel vetro. San Junipero, non a caso, è il titolo del quarto episodio della terza stagione di Black Mirror, la serie britannica che, nei tredici episodi finora trasmessi, ci ha proposto ogni volta episodi con storie, personaggi, ambientazioni e cast differenti, uniti però dallo stesso filo tematico: il rapporto tra umanità e tecnologia, quella di oggi e, più spesso, quella che potrebbe arrivare domani. Un rapporto morboso e inquietante come il logo della serie, sintesi delle visioni e degli incubi proposti di puntata in puntata: uno sfondo nero dove, appena le lettere che compongono la scritta “Black Mirror” si accendono, tra misteriose e sgradevoli interferenze sonore, il quadro si rompe in una spaccatura su quello che, ora lo sappiamo (ma in fondo lo sapevamo già), è uno schermo. Anzi, uno specchio.
Lo specchio dei mille strumenti elettronici presenti e futuribili, lo specchio dei tanti schermi che immergono gli esseri umani in mondi di rappresentazioni e li mantengono sempre più profondamente (e irrimediabilmente) interconnessi. Uno specchio che però non rimanda i nostri volti, ma il nero del giocattolo spento, o del giocattolo rotto, il nero internamente spaccato di una coscienza umana che nel progresso tecnico non trova più la crescita positiva, la redenzione e la glorificazione, bensì l’esasperazione dei suoi vizi, delle sue debolezze, delle sue contraddizioni, del suo lato oscuro. Un mosaico i cui tasselli hanno percorso la via del thriller e, più spesso, della distopia fantascientifica: tra società organizzate come giganteschi, perenni reality popolati di onnipotenti ideatori e masse di concorrenti-schiavi, drammi familiari innescati dalla possibilità di registrare e rivedere i propri ricordi tramite chip impiantati negli occhi, nuove e rigide divisioni di classe basate sul numero di consensi guadagnati tramite gli account social.
In questo contesto, l’episodio San Junipero è apparso da subito, agli occhi di pubblico e critica, come un oggetto anomalo. E non perché si discosti dal tema della serie, ma perché la storia narrata e l’esito a cui approda non ci conducono, come le altre volte, dalle parti dell’esplicito incubo distopico, dell’inequivocabile grido d’allarme, della frattura palese sullo schermo. Al punto che l’episodio è stato commentato, addirittura, come l’unico di Black Mirror a cui sia concesso di “finire bene”. Ma è davvero così? Inutile dire che ne dubitiamo, altrimenti non ci saremmo posti questa domanda, né quella che dà il titolo alla nostra analisi. E non perché riteniamo che San Junipero rappresenti invece un affresco inequivocabilmente pessimista: esso, piuttosto, come abbiamo detto all’inizio, è un gioco di specchi. La denuncia del rapporto controverso tra uomo e tecnologia è presente e fondamentale come nelle altre puntate. Ma, stavolta, essa viene narrata attraverso una connessione ambigua di verità opposte che si riflettono reciprocamente: appena optiamo per una conclusione definitiva, l’altra si presenta a rimettere tutto in discussione.
Ciò che ci pare legittimo concludere, in questa danza di immagini speculari, è che non possiamo accontentarci della chiave di lettura più rassicurante, quella espressa nel ritornello della canzone di Belinda Carlisle che apre e chiude l’episodio, Heaven is a place on Earth: no, non è così semplice, in Black Mirror la tecnologia non ci porterà nel Paradiso sulla Terra, neanche stavolta. Per questo riteniamo che San Junipero sia un episodio sicuramente anomalo, ma meno dissonante con gli altri di come potrebbe sembrare: nonché la prova più brillante, tra quelle finora visionate, della serie di Charlie Brooker.
2. Film d’amore e di specchi (in)visibili
Il gioco inizia da subito. Al consueto specchio nero infranto segue il titolo dell’episodio, quindi la prima inquadratura: notte, una serie di onde leggere si confondono e si sovrappongono allungandosi su una riva sabbiosa, quindi una dissolvenza. L’acqua, lo specchio più antico, è dunque l’immagine che apre l’intero episodio: e con una serie di specchi altrettanto fluidi e immersivi avremo a che fare nei seguenti sessanta minuti. Dalla seconda inquadratura facciamo ufficialmente ingresso a San Junipero, o almeno a quello che, dalle informazioni che ricaviamo, possiamo credere sia San Junipero: una «party-town», anzi la party-town, la città del divertimento per eccellenza nella parte più fun della California, per giunta in un 1987 quanto mai spensierato e pop: la radio di una decappottabile manda proprio Heaven is a place on Earth, una delle hit del momento. Il discobar Tucker’s, a poca distanza,è una piscina di musica, colori e videogame dove si nuota leggeri tra un ballo e un drink.
La prima parte dell’episodio gioca subito a sedurci, con lo stesso mix di vivacità e tenerezza che si percepisce nell’attrazione tra le due protagoniste, le giovani Kelly e Yorkie: disinibita, spiritosa e sboccata la prima, perfettamente a suo agio nell’atmosfera della città e del locale; timida, novizia e apparentemente fuori posto la seconda. Se non ci aspettassimo da un momento all’altro la svolta narrativa che ci catapulti nel nuovo incubo tecnologico, potremmo quasi lasciarci andare al fascino di questa storia d’amore: al contempo vintage e attuale, classica come i due proverbiali opposti che si attraggono e anticonformista come può esserlo l’unione tra due donne in un contesto che ancora non accetta pacificamente questa realtà.
Iniziamo a partecipare del reciproco cercarsi e sfuggirsi, tra una canzone anni ’80 e l’altra, di questi due personaggi, se non fosse che qualcosa, all’inizio impercettibilmente e via via in modo sempre più esplicito, non quadra. Al punto da farci sospettare che il mondo di San Junipero non sia ciò che sembra, o che comunque ci nasconda qualcosa. Alcune battute proprio non tornano: il partner appiccicoso di cui Kelly tenta di liberarsi ripete alla ragazza che i due hanno solo «due ore» e una manciata di minuti di tempo per divertirsi a San Junipero; Kelly, di fronte all’insistenza dell’altro, lo minaccia: «Ti devo bloccare?». Gli incontri tra i personaggi a San Junipero, poi, avvengono sempre a una settimana di distanza, come se qualcosa li costringesse a dover aspettare necessariamente quell’intervallo di tempo per potersi incontrare lì.
Un’aura vagamente irreale, inoltre, almeno per il nostro occhio di spettatori del 2016, pervade l’intera vicenda, anche e soprattutto a livello visivo: le due donne opposte e complementari lo sono fin troppo, addirittura nell’abbigliamento, che ne rispecchia in modo quasi didascalico le personalità e il rapporto col medesimo contesto (la giacca viola sgargiante e la scollatura di Kelly, i grandi occhiali da vista e il maglioncino chiaro a righe di Yorkie). Tutto è messo un po’ troppo in evidenza, non tanto da risultare una parodia, ma abbastanza da suscitare una vaga perplessità. D’accordo, forse, anzi sicuramente, si gioca a omaggiare un immaginario e un modo di narrare più naif, ma tutto sembra comunque troppo marcato per non nascondere qualcosa, almeno in questo contesto, trent’anni dopo e in una serie che si chiama Black Mirror. Più si sottolinea ingenuamente (a livello ambientale, visivo, dialogico), più la pacifica immersione dello spettatore “blackmirroriano” medio non viene facilitata, al contrario: ci sentiamo ancora più sottilmente a disagio, fuori posto, come Yorkie quando balla con Kelly.
In questa scena, vero apice della sequenza che narra il primo incontro tra le due ragazze al discobar, avviene un improvviso cambio di tono che rompe, esplicitamente e temporaneamente, il crescendo di divertimento e complicità, sia tra le due donne sia tra noi e la vicenda narrata: Yorkie smette di seguire Kelly che le sta mostrando come muoversi al ritmo della musica. Si guarda intorno smarrita, mentre tutto nell’inquadratura tranne lei inizia a muoversi al ralenti e al brano dance si sovrappone un tema molto più lento, ambiguo, quasi sinistro. L’effetto primario di questo cambio di tono è naturalmente quello di esprimere l’imbarazzo di Yorkie e farci identificare ancora di più con lei. E però, ulteriormente sollecitati da questa identificazione, non possiamo che constatare come il disagio di Yorkie in questa situazione non sia che un riflesso del nostro disagio di spettatori di fronte a ciò che la puntata ci sta raccontando: non a caso, la rottura straniante avviene nel momento culminante del gioco, e senza che dall’esterno sia intervenuto nulla per interromperlo. Insomma, lo stimolo a lasciarci andare all’ebbrezza del divertimento e della seduzione (per Yorkie), così come al fascino di una narrazione così ostentatamente retrò (per noi spettatori), si risolve in un improvviso, misterioso e invadente turbamento.
Naturalmente, tutto ciò ancora non basta a rompere il gioco, a svelare compiutamente l’altra faccia di San Junipero. E infatti il dialogo immediatamente successivo tra i due personaggi ci permette di leggere il momento di disagio e rottura semplicemente come l’emergere delle esitazioni di Yorkie rispetto all’attrazione per Kelly: laddove la prima risente di un’educazione familiare repressiva e per giunta sarebbe, a quanto afferma, in procinto sposarsi con un uomo. Dovremo aspettare il successivo passaggio, il successivo weekend a San Junipero, perché la crepa nello specchio si ripresenti, stavolta davvero evidente.
La sequenza in questione ci conduce ad un altro apice, ad un’ulteriore tappa verso il reciproco coinvolgimento delle due donne e verso il nostro coinvolgimento di spettatori nella loro storia: Yorkie e Kelly fanno l’amore nella casa in riva al mare di quest’ultima. Ma, ancora una volta, l’apice si risolve in crepa nel vetro, questa volta non più aggirabile. Le due ragazze dialogano a letto, ancora una volta i loro discorsi sono pervasi da un’aura di ambiguità, sottolineata ulteriormente dal mesto e insinuante commento musicale. Yorkie afferma di non aver mai avuto né esperienze sessuali né relazioni con un’altra persona (il che suona strano, visto che starebbe per sposarsi). Kelly, invece, racconta a Yorkie di aver avuto a lungo un compagno di cui è stata profondamente innamorata, malgrado l’attrazione spesso provata per altre donne, e che quest’uomo però «ha scelto di andarsene»; dunque lei sta «andando avanti» (ma in originale dice «passing through», passare attraverso) e, aggiunge, prima di andarsene vuole solo divertirsi. Le parole usate da Kelly potrebbero, di per sé, riferirsi semplicemente a un viaggio di vacanza per non pensare alla recente separazione, ma il potenziale allusivo dei termini usati e, soprattutto, il dolore a stento trattenuto con cui la ragazza le pronuncia, ci fanno pensare a qualcosa di incredibilmente più radicale, definitivo.
Infine, lo strappo esplicito: Kelly volge lo sguardo verso il quadrante della sveglia: sono le 23.59. «È quasi finito il tempo», commenta. «Allora restiamo qui», risponde Yorkie. Entrambe si guardano con un sorriso carico di vaga, misteriosa amarezza. L’ultima inquadratura è di nuovo sulla sveglia. Scatta la mezzanotte, al suono (interno o esterno alla storia?) di un’interferenza elettronica che ricorda quelle in apertura di ogni puntata di Black Mirror. Stacco improvviso, nero. La magia si è interrotta, classicamente, a mezzanotte. Ma, ora non possiamo più illuderci del contrario, la fiaba non è (solo) quella di una Cenerentola che ha trovato la principessa in grado di aprirla alla vita e all’amore: è la fiaba di uno specchio (incantato o stregato?), e il riflesso si è appena incrinato, senza possibilità di equivoco.
Le due sequenze successive, che costituiscono la parte centrale dell’episodio, chiariscono progressivamente ogni dubbio sulla realtà di San Junipero e sulla situazione delle due donne. Due sequenze che rivelano la natura speculare della narrazione anche a livello metafilmico: sono, infatti, costruite in perfetta simmetria, l’una rispetto all’altra, l’una il riflesso dell’altra. Nella prima ci troviamo di nuovo, col solito scarto temporale di una settimana, nel mondo di San Junipero, e assistiamo alla ricerca di Kelly (che sembra voler sfuggire all’altra per paura di instaurare un legame troppo profondo) da parte di Yorkie. Nella seconda, invece, è Kelly a muoversi in cerca di Yorkie, ma questa volta non ci troviamo più nel mondo riflesso di San Junipero: ci troviamo dall’altra parte, e tutto, finalmente, risulta chiaro.
San Junipero è un programma ideato in un futuro prossimo come avveniristica terapia, ufficialmente definita «terapia di immersione nostalgica»: le menti dei pazienti che vi si sottopongono vengono collegate a un sistema di realtà virtuale che riproduce, codificando i dati mnemonici delle persone connesse, scenari di epoche passate in cui queste vogliono calarsi. Kelly e Yorkie sono due utenti del sistema San Junipero, gli anni ’80 tutti musica, discobar e divertimento sono evidentemente quelli, idealizzati nei rispettivi ricordi, della loro giovinezza. E infatti, nel mondo reale, nel futuro prossimo fuori dal programma virtuale, le cose sono un po’ diverse. Kelly è un’anziana donna vedova, malata terminale di tumore, ospite di una casa di cura. Yorkie, altrettanto anziana, è una paziente tetraplegica a causa di un incidente d’auto avuto a 21 anni, dopo un litigio con i genitori che non accettavano la sua omosessualità. Nutrita artificialmente, può capire ciò che le viene detto ma comunica solo attraverso un sistema digitale a cui è connessa la sua mente. Il periodo in cui una persona vivente può connettersi al programma San Junipero è limitato per legge, in caso contrario ci sarebbe il rischio di un totale distacco degli individui dal proprio vero corpo e dalla realtà: ecco spiegato il motivo degli intervalli di una settimana tra un incontro e l’altro e delle brusche interruzioni dopo poche ore di tempo.
Non solo. Ora possiamo rileggere l’intera prima parte dell’episodio, l’imperfetta fiaba d’amore con un piede in altri tempi e altri modi narrare, alla luce della sua vera natura finalmente svelata, quella di riflesso, di proiezione speculare: le versioni giovanili di Kelly e Yorkie, le componenti didascaliche del loro aspetto e dei loro comportamenti, sono l’effetto delle rispettive proiezioni mentali nella foresta virtuale di San Junipero. La disinvoltura estrema di Kelly è il riflesso, la traduzione, la codificazione di una personalità forte di una lunga e intensa vita. I modi e l’aspetto da pesce fuor d’acqua impacciato di Yorkie, allo stesso modo, non sono quelli di una persona reale, ma una rappresentazione, una proiezione del suo essere ormai da decenni disabituata, a causa della completa paralisi, all’interazione con persone in carne e ossa. Se nelle loro figure e nei loro atteggiamenti a San Junipero potevamo riscontrare qualcosa di non del tutto credibile, di non del tutto verosimile, di non del tutto realistico, ciò è perché, effettivamente, quelle due giovani donne del tutto reali non sono: bensì simulacri, rappresentazioni virtuali di due menti interconnesse separate dai propri corpi. Due riflessi in quel grande specchio collettivo che è San Junipero.
Ma la caratteristica più peculiare e controversa di San Junipero è un’altra: poiché esso codifica i dati della mente in una sorta di copia digitale, quest’ultima può preservarsi, connessa al programma, anche dopo la morte fisica del corpo nel mondo reale. Un utente di San Junipero, insomma, può scegliere, dopo la morte, di restare eternamente connesso alla realtà virtuale dove girare e divertirsi con gli altri utenti, negli scenari preferiti del proprio passato, libero dal peso del tempo che scorre, delle epoche che cambiano e dei corpi che invecchiano. Ecco, dunque, il Paradiso offerto da San Junipero. Scopriamo perciò che il marito di Kelly ha rinunciato, al momento della morte due anni addietro, alla possibilità di lasciare la propria mente connessa al programma. Kelly, dialogando con Yorkie nel mondo virtuale, si dichiara intenzionata a fare altrettanto, a seguire il marito nell’incognita della morte.
Yorkie, dal canto suo, è rimasta rapidamente conquistata da San Junipero, che le sta dando la possibilità di vivere la vita e le esperienze che non ha mai avuto, e vuole continuare a farlo senza argini di tempo. Vuole passare dalla versione di prova alla versione estesa: vuole l’eutanasia, vuole morire nel suo corpo tetraplegico del mondo reale perché di lei resti la mente digitalmente codificata e perennemente immersa dentro San Junipero. Qui entra in gioco il promesso sposo di cui aveva parlato nella prima parte: si tratta di un infermiere compassionevole dell’ospedale in cui è ricoverata. L’uomo ha accettato di sposarla in quanto la legislazione sull’eutanasia impone il consenso di un familiare, che i genitori di Yorkie non sono disposti a concedere. Kelly scopre la verità facendo visita a Yorkie all’interno del mondo reale. Convince perciò l’infermiere a lasciare che sia lei a sposare Yorkie, con cui ha già stretto un forte legame nel mondo di San Junipero: dove potranno, tra le altre cose, vivere un’idilliaca luna di miele prima che il cancro porti la Kelly del mondo reale alla morte, e al conseguente abbandono del programma San Junipero in cui, a differenza di Yorkie, la donna non vuole restare. E (da) qui si gioca il maggiore dei problemi.
3. La fine, il dono E il Paradiso dei postmoderni
L’ultima parte dell’episodio, e il gigantesco problema filosofico, etico, psicologico, esistenziale che pone ed esplora, prende le mosse da una domanda, inevitabile tanto per Yorkie quanto per noi spettatori che, ormai, ci siamo appassionati alla vicenda di questi due personaggi: perché? Perché Kelly non vuole rimanere con Yorkie, con la donna che ama e che ha appena sposato, nel mondo di San Junipero? Perché andarsene, perché il salto nel buio della morte dovrebbe essere preferibile ai colori pop degli anni ’80 o di altre epoche? Perché la fiaba non può finire col “vissero eternamente felici e contenti”? Se lo chiede sempre più sconsolata Yorkie, e ce lo chiediamo noi, quella parte di noi più ingenua e fragile, meno critica e disincantata, che vorrebbe credere nei lieti fine (almeno, per il mondo chiuso e protetto della fiction), una parte che forse non ci aspettavamo di veder solleticata così scopertamente proprio in una puntata di Black Mirror.
Da qui in poi, il gioco degli specchi raggiunge il livello più alto e più ampio, e non ci lascia letteralmente un minuto di respiro: ora che sappiamo cos’è davvero San Junipero e come funziona, il rimbalzo continuo da un riflesso all’altro non è più tanto e solo quello tra apparenza e sostanza, tra finzione e realtà, quanto soprattutto quello su quale scelta, dunque quale verità, fare nostra rispetto a questo mondo riflesso. Quale verità siamo portati, dal testo e dalle sue strategie interne, ad accettare? Quella proposta da Kelly o quella proposta da Yorkie? Rispondere è tanto più impegnativo se consideriamo che, da qui in poi, l’episodio è un passaggio continuo, non solo dialogico, ma anche visivo e concettuale, dalle ragioni dell’una alle ragioni dell’altra.
Le ragioni per cui Kelly non vuole accettare la proposta di Yorkie, quella di restare con lei a San Junipero per un tempo indeterminato, oltre la morte del suo essere in carne e ossa, si possono riassumere in due ordini di motivi: punto primo, il Paradiso di San Junipero non accoglie tutte le anime, ma solo quelle che hanno avuto il privilegio di accedere a questa straordinaria tecnologia; e, tra queste, solamente chi ha scelto di accettare l’esistenza virtualmente illimitata offerta dal programma. Tra le persone che ne sono fuori, che non hanno voluto o potuto farne parte, c’è il marito di Kelly, con cui la donna ha vissuto quasi cinquant’anni di gioie e sofferenze, noia e desideri, risate e lacrime; e c’è, soprattutto, la figlia di entrambi, Allison, morta a trentanove anni. Uno dei motivi per cui il marito morente non ha voluto rimanere a San Junipero, è che Allison «non ha avuto questa possibilità». D’altro canto, per quanto si sforzi, Kelly ammette di non riuscire a credere in un qualche aldilà dove i suoi cari la stiano aspettando. Kelly, capiamo, non riesce a credere nell’eternità, perché essa non è una prospettiva a misura di essere umano, non la si può nemmeno concepire, tanto meno allora ci si può fare affidamento: vale per l’ipotetico altrove dopo la morte fisica, ma vale anche per il mondo speculare e virtuale di San Junipero. «Potresti avere tutta l’eternità», insiste Yorkie. «L’eternità? Non sappiamo neanche che cosa sia, poi, l’eternità», replica Kelly.
E qui veniamo al secondo ordine di motivi opposti da Kelly. San Junipero, a ben vedere, non è un luogo così paradisiaco come promette di essere. È un mondo di rappresentazioni, come tale lo scarto tra gli oggetti concreti e le loro riproduzioni sarà sempre presente. Può risultare minimo, ma c’è: Yorkie, che per quarant’anni ha vissuto immobile su un letto d’ospedale, forse non è più in grado di misurare la differenza, ma Kelly sì. Yorkie sbatte i piedi sulla sabbia di San Junipero e urla che adora quel posto, ma Kelly sa, ricorda e sente che lì, ad esempio, le sigarette sono insipide, perché la più perfetta tra le finzioni resta comunque una finzione. Dove, oltretutto, la possibilità di vivere continuamente esperienze piacevoli, in assenza di pericoli (il livello di dolore fisico provato dai corpi virtuali è impostato liberamente dagli utenti in una scala che può scendere fino a zero) non significa garanzia di felicità. Ciò che offre San Junipero, infatti, non è l’assoluta pace interna ed esterna, poiché quest’ultima presupporrebbe la liberazione da qualunque bisogno, da qualunque stimolo che si debba inseguire e placare. San Junipero, invece, fa esattamente il contrario: mette nella condizione di provare stimoli e desideri sempre nuovi, da poter (e dover) soddisfare facilmente quanto rapidamente.
Non c’è bisogno di scomodare la psicologia e la filosofia per rendersi conto di qual è, in tal caso, lo spettro dietro l’angolo: quello di una corsa incontro a sensazioni sempre nuove, sempre più intense, infinita, inquieta, frustrante fino all’ossessione, perché a ogni stimolo soddisfatto corrisponderà, a lungo andare, l’indifferenza laddove prima stava il desiderio, e quindi il bisogno di sfuggire alla noia alzando la posta, ogni volta un pochino di più. E infatti l’immagine emblematica agitata da Kelly (e dal film stesso) è quella del Quagmire: l’oscuro locale dove, nella sequenza centrale, si era recata Yorkie in cerca di Kelly; il Quagmire costituisce l’ennesimo dualismo che connota la natura ambigua di San Junipero: un luogo i cui avventori scavano nelle fantasie sadomasochiste più estreme, perché ormai è quella l’unica spiaggia che gli resta per sperare «di sentire qualcosa». Da una simile prospettiva, la permanenza prolungata potrebbe rendere il Paradiso di San Junipero più simile a un subdolo e beffardo Inferno.
Ma il gioco di opposti non ammette che ci si fermi a queste ragioni, e mostra anche quelle di Yorkie, la difesa del possibile “volto umano” del Paradiso virtuale. Da un lato, esplicita la donna, la potenziale eternità della vita a San Junipero, al di là che si riveli a lungo andare benefica o insopportabile, è caratterizzata dalla reversibilità: chi si stufa del programma può scegliere di farsi scollegare in qualunque momento. Perché, allora, non provare? Perché non dare una possibilità a questa vita di piacevoli simulacri prima di abbracciare compiutamente la morte? La seconda, e ben più forte, ragione di Yorkie ci viene descritta dall’episodio di Black Mirror non più attraverso il dialogo serrato e intenso tra le due donne, bensì attraverso la forza delle immagini e dei suoni, nella sequenza successiva a quella del loro durissimo confronto. Al termine della discussione, Kelly, arrabbiata e addolorata, prende la jeep e se ne va. Corre sempre più veloce, fino a scontrarsi intenzionalmente contro la recinzione di una strada chiusa. L’impatto è tale da catapultare fuori dal veicolo il corpo di Kelly, infrangendo il vetro e rotolando fino a fermarsi a faccia in giù sulla terra polverosa. L’inquadratura si avvicina lentamente al suo corpo inerte: se fossimo stati nel mondo reale, Kelly sarebbe morta, oppure gravemente ferita proprio come accaduto a Yorkie nella vita reale (ancora, un altro riflesso deformato che lega i due mondi e i destini delle due donne).
Ecco però che, già nell’inquadratura successiva, Kelly si rialza lentamente da terra e si guarda intorno, apparentemente illesa. Sembra la dimostrazione ulteriore delle sue ragioni: nel simulacro di eternità di San Junipero nulla può farti davvero del male, perché nulla è davvero reale. Eppure, l’inquadratura seguente ribalta la prospettiva in modo inatteso. Abbiamo una soggettiva dal basso (il nostro punto di vista di spettatori coincide perciò con quello di Kelly): compare improvvisamente Yorkie, e con un sorriso carico di dolcezza protende le mani verso la sposa per aiutarla a rialzarsi da terra. L’inquadratura successiva raffigura entrambe: le loro mani sono sul punto di congiungersi, uno stacco di montaggio mostra l’orologio della macchina di Kelly, che passa dalle 23.59 alla mezzanotte. Di nuovo, l’interferenza sonora che segna la fine della sessione temporanea a San Junipero. Nuovo stacco, un altro primo piano di Yorkie dal basso: dal suo sobbalzo capiamo che l’altra è appena scomparsa, e infatti, un attimo dopo, l’inquadratura successiva mostra Yorkie di nuovo da una certa distanza, nella stessa posizione di quando lei e Kelly stavano congiungendo le mani. Ma ora, vicino a Yorkie, non c’è più nessuno. Un passaggio secco, crudele, che consegna (a noi come a Yorkie) un improvviso senso di brutale separazione, di perdita. Con la nuda e muta forza di questa sequenza, comprendiamo allora che a San Junipero qualcosa di potentemente, indiscutibilmente reale c’è: il legame emotivo che può instaurarsi tra le coscienze di due utenti connessi, due utenti come Kelly e Yorkie. Come altrettanto reali sono le gioie e i dolori che questo legame, sia pur in un teatro di riproduzioni virtuali, può provocare e dispensare. Nel reame incantato delle finzioni, il rapporto che lega queste due persone è assolutamente autentico.
Ci troviamo quindi in una situazione di parità quasi perfetta tra le opposte qualità, le opposte verità, del mondo speculare di San Junipero. Si tratta di vedere, perciò, quali somme l’episodio deciderà di tirare, nelle due sequenze conclusive. Da ora in poi il gioco con le aspettative degli spettatori viene portato all’estremo. Nella penultima sequenza, una serie di inquadrature ci mostra il rapido peggioramento della malattia di Kelly nel mondo reale (appare visibilmente più debole e inizia a portare un sondino al naso): a un certo punto ci viene mostrata la donna mentre osserva un vasto panorama che si estende a perdita d’occhio, tra case, mare, montagne sullo sfondo e un cielo luminoso ma ricco di sfumature in cui si potrebbero scorgere rilievi ancora più alti. Un’immagine di vastità ambiguamente sospesa tra serenità e ignoto, che ci introduce al breve dialogo tra Kelly e l’infermiera che le sta tenendo compagnia:
Kelly: – D’accordo allora.
Infermiera: – Kelly?
Kelly: – Tutto sommato… credo di essere pronta.
Infermiera: – Per cosa?
Kelly: – Per tutto quello che viene dopo.
Un dialogo ambiguo e sfumato come l’orizzonte che sta osservando Kelly. Sembra chiaro che la donna ha deciso di compiere un salto nel buio, verso qualcosa «che viene dopo» la sua esistenza fisica ormai alle battute conclusive. Ma si tratta semplicemente dell’ignoto della morte? Della potenziale eternità che segue al totale abbandono dell’esistenza materiale? O di un’incerta, altrettanto potenziale eternità nel Paradiso virtuale di San Junipero? Ancora una volta, con questo enigmatico scambio, le due verità si riflettono a vicenda, rimbalzano una sull’altra senza risolversi definitivamente.
Arriviamo alla sequenza finale: il gioco di rispecchiamenti addirittura si triplica, così come il gioco con le nostre reazioni e aspettative di spettatori. Il montaggio infatti alterna inquadrature a San Junipero, inquadrature nel mondo reale, e inquadrature che mostrano i primi titoli di coda dell’episodio su sfondo nero; quest’ultima soluzione rafforza la nostra attesa nei confronti di un pronunciamento ultimo, da parte degli autori dell’episodio (che ora si “espongono” con i loro stessi nomi), sulle problematiche che hanno sollevato nei sessanta minuti appena trascorsi. E, in una manciata di secondi, le nostre conclusioni provvisorie vengono smentite almeno due volte.
Prima assistiamo all’alternarsi tra inquadrature di Yorkie che viaggia in macchina da sola a San Junipero e inquadrature nel mondo reale che ci mostrano l’eutanasia di Kelly e la sua sepoltura accanto al marito e alla figlia. Diremmo quindi che Kelly ha mantenuto fede ai suoi propositi e Yorkie è rimasta sola con la sua eternità tra gli utenti di San Junipero. Quand’ecco che Yorkie si ferma con la macchina davanti alla casa di Kelly e suona il clacson. La Kelly giovane di San Junipero compare a raggiungere l’altra, ed entrambe ripartono, divertite e spensierate come non mai. Kelly, dunque, si è persuasa a sperimentare la permanenza illimitata a San Junipero, a fianco della donna di cui è innamorata. Un finale che chiuderebbe, quindi, sulla bontà delle ragioni di Yorkie, sulla fiaba a cui è concesso l’happy ending.
Eppure, non è nemmeno così semplice. Le ultime immagini di Kelly e Yorkie, che ballano al Tucker’s come in apertura di episodio (ma ora entrambe si lasciano andare senza esitazioni e turbamenti), sono intervallate da inquadrature che ci mostrano uno scenario totalmente inedito e destabilizzante: un gigantesco edificio che ospita la sede di un’azienda, la TCKR SYSTEMS, (sigla composta, non a caso, dalle stesse consonanti di Tucker) al cui interno un braccio meccanico automatizzato colloca due nuovi microchip, tondi e luminescenti, nelle caselle di un immenso archivio popolato da altri dischetti con differenti codici. Capiamo dall’alternarsi delle inquadrature che quei due chip sono ciò che resta delle menti codificate di Kelly e Yorkie, emblematicamente collocate una accanto all’altra. L’ultima inquadratura, poi, non è sul mondo (e sull’epilogo) apparentemente idilliaco di San Junipero, ma una carrellata a precedere sull’immensa banca-dati vuota di esseri umani in carne e ossa e popolata di chip luminosi perfettamente catalogati. Ad accrescere l’ambiguità e lo straniamento, c’è un unico raccordo che collega la molteplicità di piani (diegetici ed extradiegetici) caratterizzanti questa sequenza: la canzone di Belinda Carlisle che ci aveva accolto al nostro primo ingresso a San Junipero, Heaven is a place on Earth.
Dopo il nostro viaggio tra le logiche speculari delle sequenze di questo episodio, siamo perciò tornati alla domanda che aveva dato origine a tutto: is Heaven a place on Earth? Alla luce di ciò che abbiamo visto, detto e considerato, come è legittimo interpretare questa conclusione, e quindi l’intero episodio? Come accennato in apertura, non sono poche le voci che hanno promosso una lettura positiva della parabola di San Junipero, e tra queste ce n’è una che, per evidenti motivi, pesa un pochino più di altre: quella del creatore della serie e sceneggiatore dell’episodio, Charlie Brooker in persona. Questi ha affermato in un’intervista di aver voluto «donare» (gift, in originale) alle due protagoniste qualcosa come un lieto fine, il primo lieto fine della sua collezione di distopie. E non ci riesce difficile credere alla sincerità delle intenzioni di Brooker: noi stessi, come spettatori, abbiamo desiderato, in una parte di noi più o meno presente, che a questi due personaggi così vivi, da cui traspaiono umanità e sfaccettature degne di persone reali, venisse concessa una chiusura felice, oltre le ombre e i limiti del confine stesso tra vita e morte.
Tuttavia, almeno per chi come noi ritiene che un testo (e in particolare un testo così ricco e complesso) superi per sua propria facoltà le intenzioni stesse dell’autore, una chiave di lettura univocamente consolatoria non può bastare. E la nostra obiezione, anche alla luce di quanto emerso dalla nostra analisi, si può articolare in tre livelli: uno contenutistico, riferito ai problemi che esplicitamente pone l’episodio in esame; uno metatestuale, che riguarda il rapporto tra la storia e le soluzioni adottate dal testo stesso per narrarcela; un terzo, infine, di carattere culturale, che riguarda il rapporto dell’episodio con i contesti e gli immaginari (passati e presenti) con cui inevitabilmente si relaziona.
Dal punto di vista contenutistico, la chiusa dell’episodio non risolve, né tanto meno confuta le criticità (almeno potenziali) della vita (eterna) trascorsa a San Junipero. È vero, abbiamo visto che la forza del legame emotivo tra Kelly e Yorkie riesce a proiettarsi oltre la dialettica realtà-finzione del mondo virtuale. Persino l’immagine conclusiva dei due microchip catalogati uno accanto all’altro nell’immensa banca dati potrebbe essere letta in questo senso come suggello del permanere di quel legame, sia pur in forma altra da quella umana. E nonostante ciò, siamo davvero in grado di dire che anche questo legame, sottratto alla naturale e inevitabile finitezza temporale che caratterizza(va) l’esistenza umana, non sia destinato a deteriorarsi, a sfaldarsi e a spegnersi nella noia, nella saturazione reciproca? No, non lo siamo: il rischio ha sempre riguardato la vita di coppia nel mondo reale, dove per giunta si condivide l’esistenza al massimo per una manciata di decenni. Difficile pensare allora che esso non sussista, amplificato, in una prospettiva di potenziale eternità. E non possiamo neanche essere certi, di fronte al sopraggiungere di quella saturazione, di quella nausea di “eterno”, che la possibilità di interrompere in qualsiasi momento il programma sia una scappatoia facile come sembra. Da un lato c’è la vita di (potenziale) illimitata ricerca di piacere e divertimento, e dall’altra l’incertezza assoluta della morte: non è inverosimile allora che manchi, al dunque, la forza di andarsene, di staccare, anche se ormai non ci fosse più nulla di davvero piacevole in quel “Paradiso”. È, in fondo, una condizione analoga a quella della dipendenza, e San Junipero avrebbe le carte in regola per risolversi nella più insidiosa e oscura delle dipendenze.
Dal punto di vista metatestuale, potremmo dire che Charlie Brooker ha svolto il suo lavoro fin troppo bene: la struttura speculare del concatenarsi di sequenze e inquadrature, infatti, è talmente perfetta da risultare una paradossale gabbia, chiusa perché perennemente aperta. Non c’è una sola verità, una sola immagine, una sola svolta, un solo dettaglio che non abbia il suo opposto, il suo contraltare riflesso. Il gioco dei continui rispecchiamenti e ribaltamenti, condotto dall’inizio alla fine, è per sua natura impermeabile all’univocità, alla fissazione definitiva in una sola, unica, definitiva immagine, lettura o interpretazione. Semplicemente perché il primo dato, la prima verità, senza l’altra non si reggerebbe in piedi. Da questo punto di vista, allora, possiamo dire che Brooker è riuscito a regalare non un lieto fine, semmai la possibilità, la speranza di un lieto fine. Che, forse, in una serie come Black Mirror, è già molto più di quanto ci si potrebbe aspettare. Ma è anche, in fondo, la dimostrazione, a supporto delle parole di Kelly, che l’unica eternità pienamente accessibile alla nostra coscienza (e alle nostre narrazioni) è quella di un continuo, mai davvero pacificato, gioco di rispecchiamenti.
Passiamo, infine, al punto di vista che abbiamo definito “culturale”. Il valore aggiunto di un episodio come San Junipero sta nel suo evocare in modo assolutamente insolito l’immaginario degli anni ’80. Questi ultimi sono stati definiti, da una schiera innumerevole di studiosi e critici, l’epoca di avvio del cosiddetto “postmoderno”. Una categoria, quest’ultima, che nelle sue svariate articolazioni riguarda la cultura nella sua accezione più ampia (dunque l’arte, i media, ma anche la politica, l’impostazione della società, e persino il modo di pensare diffuso). Senza avere la pretesa di sviscerare una nozione così complessa nelle righe che restano, ci limitiamo ad evidenziare alcuni aspetti, riconosciuti come tipici del contesto e dell’estetica postmoderni, che San Junipero, volente o nolente, chiama in causa.
Abbiamo, in primo luogo, un’idea della Storia dove il concetto di progresso lineare è radicalmente in crisi, pertanto non ci si affida più a grandi chiavi di lettura, narrazioni, ideologie che orientino noi e il mondo verso un cambiamento definito e positivo della società tutta. Da questo punto di vista, la condizione degli utenti di San Junipero allegorizza quella dell’umanità postmoderna: essi sono anziani o paralizzati o morenti, non vogliono né possono più affidarsi alla prospettiva ideale (o idealizzata) di un futuro e di un avvenire radiosi. I sogni, le idee, i progetti da applicare alla (propria) realtà sono invecchiati con loro e passati in cavalleria. Ciò che resta, ai postmoderni come agli utenti di San Junipero, pare essere solo l’immersione nel gioco, divertente e consolante, della rielaborazione del passato, della sua riscrittura e ri-rappresentazione.
Non a caso, l’epoca postmoderna è caratterizzata ulteriormente dall’immersione costante nel mondo delle rappresentazioni offerte dai media (film, fotografie, messaggi pubblicitari); le quali, però, non rimandano più tanto e solo a oggetti reali, ma ad altre rappresentazioni pre-esistenti: opere che citano altre opere, film che mescolano caratteristiche e contenuti di altri film, videogame che riproducono mondi descritti in altri prodotti audiovisivi. Dove lo scopo primario del gioco tra rappresentazioni è quello di colpire i sensi, di intrattenere e sorprendere, piuttosto che di veicolare e stimolare particolari visioni critiche. E cos’altro è San Junipero, se non la rappresentazione (a scopo ludico) di una precedente rappresentazione? Un mondo virtuale che riproduce a sua volta la rappresentazione mentale (mnemonica) di un’epoca passata; dove a rivivere con maggiore evidenza sono, inoltre, le rappresentazioni mediatiche di quell’epoca (canzoni, giochi, programmi alla tv). Una foresta incantata di rappresentazioni, quella del postmoderno e quella di San Junipero, che per giunta aspira (in entrambi i casi) a tali livelli di complessità immersiva e perfezione illusionistica, da (rischiare di) perdere il suo status di simulacro per sostituirsi in tutto alla realtà.
Infine, rispetto alle opere di fiction, si respira nel contesto postmoderno una voglia diffusa di ritornare (rispetto alle narrazioni sperimentali e criticamente problematizzate della modernità) a storie e modi di raccontare più semplici e lineari, più immediatamente divertenti, più ingenui, se si vuole. Storie e soluzioni narrative che si rifacciano agli immaginari del passato, sia pur con la consapevolezza di starli citando e riproducendo, in un contesto ben diverso e, in realtà, assai più disincantato. Godendo perciò non tanto della verità di una storia semplice e di un lieto fine, ma dell’illusione piacevole di quella storia semplice e di quel lieto fine. Un’illusione che tanto più coinvolgerà sensi ed emozioni finché dura, tanto più appagherà chi ne fruisce, facendogli sognare una realtà diversa. E questa è proprio, a ben vedere, la metà ingenua, naif, vintage, addirittura fiabesca, della storia d’amore tra Yorkie e Kelly, quella a cui si attaccherebbe tanto bene un lieto fine tale da farci credere che, almeno nei film, si possa vivere per sempre felici e contenti: che il Paradiso sulla Terra, almeno lì, possa esistere. Ma ciò è reso impossibile, o quanto meno assai più problematico, proprio dal modo in cui questo episodio di Black Mirror mette in gioco elementi così tipici dell’immaginario postmoderno.
San Junipero, cioè, risulta a tutti gli effetti un testo che parla del postmoderno, senza però essere un testo postmoderno (potremmo definirlo, tutt’al più, metapostmoderno). Perché la sua logica interna, lo abbiamo visto nel corso di tutta la nostra analisi, è opposta a quella della pacifica immersione in un mondo di finzione (e di finzioni): ci costringe, invece, a rimettere in discussione ogni volta il nostro rapporto con una realtà data (o rappresentata), ci pone problemi morali strazianti e forse irrisolvibili, ci turba quando dovremmo lasciarci andare e piazza ingombranti interrogativi laddove preferiremmo, apodittico e risolutore, il punto. Da questo punto di vista, San Junipero evoca il bisogno postmoderno di narrazioni seducenti a lieto fine, solo per decostruirle assieme al contesto culturale che le produce, per ribadirne quindi (magari a dispetto dell’autore stesso e dell’amore che nutre per i suoi personaggi) l’irrealizzabilità.
Nel centro esatto dell’episodio, Kelly, dentro San Junipero, dopo aver discusso con Yorkie, rompe con un moto di rabbia lo specchio della toilette di fronte a lei. Uno specchio infranto, come tutti quelli che aprono gli episodi di Black Mirror. Ma, dopo pochi secondi, interviene il programma San Junipero a pacificare tutto, il vetro ritorna integro. Eppure, questo non ci rassicura affatto. E l’affermazione di Belinda Carlisle continua a riflettersi nel suo opposto, a incrinarsi, a deformarsi in domanda. Siamo costretti a scegliere, se credere nella fiaba o accettare il riflesso oscuro dello specchio: ed è, forse, questa necessità della scelta, il più grande dono che ci lasci quest’opera straordinaria.
Emanuele Bucci